E’ perseguibile penalmente colui che installa un software spia sul cellulare della moglie anche se quest’ultima ne sia a conoscenza.
E’ quanto emerge dalla sentenza 5 aprile 2019, n. 15071 della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione.
La giurisprudenza di legittimità ha già in passato spiegato che l’evoluzione tecnologica consente di approntare strumenti informatici del tipo “software”, solitamente installati in modo occulto su un telefono cellulare, un tablet o un pc, che consentono di captare tutto il traffico dei dati in arrivo o in partenza dal dispositivo e, quindi, anche le conversazioni telefoniche (Cass. pen., Sez. Un., 28 aprile 2016, n. 26889).
Tali spy-software rientrano appieno nella categoria degli “apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti” diretti all’intercettazione o all’impedimento di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone, di cui all’art. 617-bis c.p., comma 1, venendo in rilievo una categoria aperta e dinamica, suscettibile di essere implementata per effetto delle innovazioni tecnologiche che, nel tempo, consentono di realizzare gli scopi vietati dalla legge.
Tale reato anticipa la tutela della riservatezza e della libertà delle comunicazioni mediante l’incriminazione di fatti prodromici all’effettiva lesione del bene, punendo l’installazione di apparati o di strumenti, ovvero di semplici loro parti, per intercettare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche. Pertanto, ai fini della configurabilità del reato, deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva di intercettazione o di impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta (Cass. pen., Sez. V, 27 gennaio 2011, n. 3061).
L’eventuale sussistenza di un consenso all’intrusione, da parte della vittima, non rileva in quanto si riferisce ad una situazione di post factum rispetto al momento di consumazione del reato, coincidente con l’installazione del software.
(Altalex, 18 aprile 2019. Nota di Simone Marani)